Carzeto

 

Nella Bassa Parmense,

nel comune di Soragna,

sulla strada per San Secondo,

fra il Rovacchia e lo Stirone,

sui due lati di una curva ad elle,

una cooperativa di consumo

con biliardo e campo da bocce,

una drogheria e due caseifici,

un fabbro ed un falegname,

un asilo ed una scuola,

una cappella ed una chiesa,

una trentina di case,

quasi tutte con stalla e fienile.

Poco distante, un cimitero.

Adiacente all’esterno della curva,

un pozzo artesiano ed una fontana

dalla quale da sempre sgorga

acqua potabile buonissima.

Lì, ad un passo dal cimitero,

ho vissuto per undici anni,

ho imparato a camminare,

a saltare e nuotare,

a cavalcare ed a guidare,

a leggere e scrivere,

a studiare e, per qualche anno,

anche a pregare.

Lì, mi sono salvato per caso,

perché una cavalla da tiro

ha tenuto alzato lo zoccolo

anteriore destro, ferrato,

per non calpestarmi,

dopo che, per uno scarto,

le ero caduto dal garrese;

perché mio zio ha sentito

cadere l’asta del torchio

che mi teneva sul fondo

di una bigoncia di vino;

perché una saetta ha girato

più volte intorno ad una quercia

sotto la quale mi ero riparato

sfiorandomi senza colpirmi;

perché mia madre è riuscita

a farmi rimettere con del latte

(dopo tre anni di quello materno,

quello di mucca mi dava nausea)

la snavra che avevo scambiato

per sciroppo contro la tosse;

perché un torello di due anni,

impazzito da un nugolo di mosche,

rotta la catena e fuggito dalla stalla,

si è fermato, incredibilmente,

ad un passo dalle mie mani.

Ai lati della curva, due delimitatori,

alti un metro e larghi altrettanto,

che chiamavano il “ponte delle balle”,

sui quali da maggio a settembre,

persone di ogni età si sedevano,

ogni domenica sera,

per raccontarsi di tutto.

Inverni freddi, nevosi e nebbiosi,

senza impianti di riscaldamento,

(fino al 1955, anche senza elettricità)

a parte le stufe da legna ed i camini,

sulle cui braci si abbrustoliva la polenta

cotta nei paioli la sera prima.

Estati torride, umide, con un’aria pesante,

irrespirabile per chi soffre di bronchite.

Poi, il cimitero, nelle cui mura esterne

i partigiani avevano nascosto le armi.

I famigliari con i quali sono cresciuto?

Ora, sono tutti lì:

Corinna, mia bisnonna paterna,

figlia dell’undicenne Emma

e del figlio di un conte-senatore,

ed il marito Giulio, massacrato a Colorno;

Luigi, mio nonno paterno,

morto di leucemia allora incurabile

e sua moglie, la mia “nonnina”;

Evaristo, mio nonno materno

e sua moglie Leopoldina;

mio padre Rodolfo, morto annegato,

sei mesi prima che nascessi,

mia madre Ivana e mio zio Ugo,

che hanno lavorato,

non per quaranta

ma per oltre settant’anni.

Ora, a Carzeto,

non c’è più quasi nessuno

che conosca e/o ricordi.

Non c’è più la scuola

né il “ponte delle balle”

né le carraie di una volta.

Non c’è più nemmeno la nebbia.

Solo la chiesa ed il cimitero.

 

Lunedì, 23 dicembre 2019.

 

Rodolfo Marusi Guareschi