VII PARTE
RAPPORTI SOCIALI
Come tutti gli altri esseri viventi, l'umanità ha bisogno di fondare
la propria esistenza ed il proprio sviluppo su un sistema di
rapporti tra individui della stessa specie.
Lo stato, anzi gli stati, allora, dovrebbero essenzialmente
rappresentare il rispettivo sistema sociale, come strumento soggettivo
comune indirizzato al miglior benessere degli individui
che lo costituiscono.
Non solo. Dovendo l'umanità essere orientata verso un benessere
comune, è necessario individuare un sistema interstatale in grado
di catalizzare i problemi e le risorse di ogni stato e, conseguentemente,
di ogni individuo che, in questo modo, vive la
propria condizione di libertà soggettiva senza ingenerare limita-zioni
rispetto alla libertà comune di tutti gli individui.
Stati, quindi, organizzati in modo da consentire la massima
libertà ed il massimo benessere "possibili" di un individuo rispetto
a tutti gli altri.
Se tutti gli esseri umani nascono con gli stessi diritti e gli stessi
doveri, se sentono bisogni e desideri simili e, pur se con
dimensioni diverse, possono realizzare le medesime soluzioni,
allora tutti gli esseri umani devono avere regole e rapporti sociali
identici nei contenuti anche se con forme diverse.
Rispetto, quindi, ad un unico stato umano, è necessario un unico
stato sociale.
Questo concetto può apparire limitativo della libertà degli
individui e dei popoli di darsi strutture statali in un modo
piuttosto che in un altro, tuttavia rappresentano un'esigenza
lapalissiana se si vuole veramente realizzare il maggior benessere
comune.
Possono essere diversi i sistemi politici, i sistemi economici e
quelli religiosi, perché tutti dipendono dalle realtà nazionali che
rappresentano, ma tutti questi sistemi debbono necessariamente
essere ricondotti ad un medesimo sistema sociale, fondato su un
unico stato etico morale.
Qui non si tratta di definire delle utopie, di ventilare uniformità
od appiattimenti tra gli individui, bensì di stabilire un modus,
anzi uno status che, per la verità sarebbe già nei fatti se i diversi
sistemi politici, economici e religiosi non avessero identificato se
stessi in diversi stati sociali.
Così, le politiche capitalistiche si sono identificate in stati sociali
di tipo capitalistico, le politiche comuniste si sono identificate in
stati sociali di tipo comunista: gli stati sociali di oggi sono quindi
il riflesso dei sistemi politici.
Similmente, si possono riscontrare i riflessi dei sistemi economici e
religiosi sui sistemi sociali.
Questi riflessi hanno comportato e comportano tuttora, necessariamente,
i conflitti tra stato e stato, che trovano il loro culmine nel
"disordine mondiale".
Un disordine mondiale che ha ingigantito, anziché attenuarlo, il
disequilibrio naturale già esistente.
L'idea di uno stato sociale di riferimento, al quale ricondurre tutti
gli stati sociali della Terra, a prescindere anche dai singoli sistemi
di sviluppo, può garantire, o perlomeno orientare, un
riordinamento dei conflitti interstatali che avrebbe, come effetto
spontaneo, la pace.
Sì, la pace, continuamente impedita dai conflitti tra i diversi stati
sociali oltre che dai conflitti interni agli stessi stati sociali, può
essere recuperata definitivamente soltanto attraverso l'uniformità
degli stati sociali fondati sugli stessi bisogni, desideri, soluzioni.
Bisogni, desideri, soluzioni che, per essere comuni ed universali,
possono essere regolati da identici principi.
È necessario, allora, definire un corretto ed omogeneo rapporto tra
i concetti di bisogno e libertà dal bisogno, di risorse e loro utilizzo,
di produzione di ricchezza e sua destinazione.
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