ORIGINI FILOSOFICHE
Le origini di una enunciazione filosofica non possono che derivare
dall'esercizio di una profonda introspezione psicologica
individuale di colui il quale, esaminando se stesso, abbia la
capacità, mediante la memoria e la ragione, di trarre delle conclusioni
sul proprio essere, in equilibrio con la memoria e la
ragione di tutti gli altri individui.
Tale equilibrio, naturalmente, deve essere esteso alle cause, agli
effetti, al fine ultimo e, quindi all'interesse ultimo.
Le origini filosofiche sono costituite da verità, bellezza, giustizia,
genialità, volontà.
VERITA’
Verità è l'essere dimostrato o dimostrabile.
L'essere umano ha potuto individuare due verità: la verità
effettiva e la verità storica.
La verità effettiva, si dovrebbe aggiungere l'unica verità, almeno
in relazione ad un certo stato dell'energia, dello spazio e del
tempo, è quella dimostrata o dimostrabile, attraverso l'indagine
sulle origini, sulle cause e sugli effetti. È la verità che la mente
dell'essere umano può percepire e riconoscere, l'unica sulla quale
può logicamente costruire la propria evoluzione.
Si può definire la verità effettiva come una concatenazione di
cause ed effetti dimostrati o dimostrabili, ricondotta ad una
origine a sua volta dimostrata o dimostrabile.
La verità storica, invece, è quella prevalentemente fondata sullo
scopo che individualmente si vuole ottenere, a prescindere dalle
origini, dalle cause e dagli effetti comuni.
La verità storica è, quindi, una concatenazione di fatti, riportati e
trasferiti, funzionale a coloro che li hanno riportati e trasferiti, od
anche funzionale ad individui da questi ultimi voluti.
Ambedue le verità sono concatenazioni di fatti dei quali il
precedente è la causa (evento causale) ed il successivo è l'effetto
(evento effettuale).
Così, i fatti, od eventi, casuali ed effettuali di ciascuna delle due
verità promanano da una causa (ossia da un fatto) originaria.
Se la causa originaria è una verità storica, avremo una concatenazione
di fatti storici; se invece la causa originaria è una verità
effettiva, avremo una concatenazione di fatti effettivi.
Si può dire, quindi, che ogni effetto è riconducibile alla causa
originaria che lo ha prodotto.
Apparentemente, allora, l'effetto di ogni causa potrebbe apparire
immodificabile rispetto alla causa che lo ha prodotto.
In realtà, al contrario, è possibile modificare (rivoluzionare) gli
effetti rispetto alle cause che li hanno prodotti, quando il soggetto
che modifica l'effetto sceglie, o più precisamente è indotto alla
modifica dell'effetto, a causa di un costo-sacrificio superiore
nell'accettare un certo stato piuttosto che nel modificarlo, a prescin-dere
dai vantaggi o dagli svantaggi che a tale soggetto, da questa
rivoluzione, possano derivare.
In sostanza, il soggetto individuo può, se lo vuole (e se gli costa di
più il non volerlo che il volerlo), inserire tra una determinata
causa ed un determinato effetto (logico), una sua causa che incide,
in questo modo, su quello stesso determinato effetto che sarebbe
stato riconducibile a quella determinata causa.
In questo concetto consiste l'autodeterminazione dell'individuo:
quando è più alto il costo-sacrificio che deve sopportare accettando
rispetto al costo sacrificio che deve accettare modificando.
E questo a prescindere dai vantaggi materiali che derivano
all'individuo che agisce: il rapporto tra i due costi non è materiale,
ma piuttosto di carattere psicologico e cerebrale.
Tra la verità effettiva e la verità storica esiste un rapporto o,
meglio, una legge: la verità storica può essere modificata dalla
verità effettiva, provocando così la naturale evoluzione della
verità storica verso la verità effettiva; la verità effettiva, una volta
dimostrata, non potrà mai più essere modificata in verità storica,
quindi non potrà mai più essere involuta.
Quindi, l'effetto che ha come causa l'autodeterminazione individuale
incide nel rapporto tra causa ed effetto riconducibili ad una
causa storica originaria, mentre può soltanto tentare di incidere
nel rapporto tra causa ed effetto riconducibili ad una causa
originaria effettiva dimostrata.
BELLEZZA
Bellezza è lo scenario naturale, considerato nel suo complesso
evolutivo di origine, causa, effetto e scopo.
Peraltro, senza l'influenza dell'autodeterminazione individuale
dell'essere umano, la bellezza non esiste. La percezione ed il
riconoscimento del bello sono effetti riconducibili all'evoluzione
dell'energia sulla quale l'individuo incide.
Esistono una bellezza interiore ed una bellezza esteriore.
Bellezza interiore è equilibrio di energia cerebrale, quindi
espressione del proprio essere come si desidera.
Bellezza esteriore è rapporto tra istinto individuale, autodetermi-nazione
di se stessi ed espressione dell'esterno, cioè fatto oggettivo
e comprensibile.
Ma bellezza è anche carattere contingente, cioè relativo ad un
determinato tempo e, come tale, suscettibile di essere modificato
attraverso il rapporto tra l'essere (presente) ed il poter essere
(futuro possibile).
In sostanza, bellezza è ciò che realmente esiste ed è percepibile,
nel contesto della possibile evoluzione di ciò che esiste, mediante
l'apporto dell'autodeterminazione.
Si può riconoscere, quindi, l'interdipendenza tra il carattere della
bellezza ed il carattere della verità. Bellezza interiore in rapporto
alla verità effettiva interiore, bellezza esteriore in rapporto agli
effetti modificati dalla verità effettiva.
GIUSTIZIA
Giustizia è il rapporto tra individualità ed umanità in generale.
Individualità è accezione soggettiva al proprio essere, attraverso
l'introspezione psicologica sulle proprie caratteristiche personali,
tesa all'espressione del proprio massimo benessere.
Umanità intesa come insieme di tutti gli esseri umani, del quale
insieme l'individualità è componente essenziale.
La giustizia, quindi, si esprime nel lavoro (pensiero ed azione) che
l'individuo produce per il proprio benessere, quando tale lavoro
individuale abbia come effetto l'interesse comune di tutta la specie
e, quindi, sia incidente nel processo di evoluzione di ogni essere
umano.
Non è vero, dunque, che la vita è una borsa in cui l'incremento del
proprio benessere individuale è a scapito di tutti gli altri.
Questo assunto, considerato da sempre un assioma, è stato preso
in prestito dai meccanismi economici che hanno regolato i rapporti
materiali relativi alla produzione ed alla destinazione della
ricchezza, dei quali i sistemi politici sono diventati regolatori o
moderatori di conflitti.
E così, purtroppo, abbiamo avuto individui che hanno sacrificato,
oltre ai diritti di tutti gli altri, anche una parte del proprio
potenziale benessere, in funzione del maggior potere politico o
religioso, della maggiore ricchezza, rispetto agli altri.
Un assioma, anche se illogico, non deve peraltro essere rimosso da
un altro assioma; si tratta, invece, di affermare dei concetti
esistenziali che, anche in considerazione dell'evidente
infondatezza (dovremmo dire falsità) di un assioma esistente,
propongano modi nuovi, più logici, anche se più teorici e, perciò,
apparentemente avulsi dalla realtà dei fatti (esaminati peraltro
alla luce di verità storiche e non di verità effettive), che producano
come fine ultimo l'effetto di un generale benessere e, quindi, anche
del proprio benessere individuale.
GENIALITA’
Genialità è fonte dell'evoluzione che consente all'essere umano di
partire dalla propria origine e realizzare, nel tempo, il proprio
benessere, nel senso della massima perfezione possibile,
nell'ambito del proprio stato evolutivo.
Genialità non è tanto capacità di risolvere quanto capacità di
percepire e di riconoscere il proprio stato ed i problemi che tale
stato pone.
Ed è logico che sia così: il rapporto tra l'essere ed il saper
esprimere ha origine dalla consapevolezza del proprio stato, non
solo rispetto allo stato di tutti gli altri esseri umani, ma anche
rispetto al rapporto che esiste tra l'origine, cioè l'energia pura, e lo
scopo finale, cioè l'energia più complessa in equilibrio stabile.
In modo molto più esplicito, si può dire che la genialità è
certamente più alimentata dalla consapevolezza del proprio
tempo a disposizione, piuttosto che dal tempo e dalle azioni degli
altri.
Genialità come azione evolutiva individuale, quindi, non come
reazione alle azioni degli altri.
Probabilmente la genialità, come percezione dei problemi, è
direttamente proporzionale alla propria esperienza, nel senso che
la maggiore conoscenza dei fatti induce l'essere umano, attraverso
la propria riflessione interiore, alla percezione dei problemi, sia
quelli di carattere soggettivo sia quelli di carattere universale.
Questa è, in fondo, la dimostrazione dell'interdipendenza che
esiste tra il nostro io individuale e tutto il resto.
E siccome il problema scaturisce da un fatto negativo, cioè da un
disequilibrio, possiamo definire la percezione di questo problema,
quindi la stessa genialità, come reazione al disequilibrio.
Una reazione che possiamo dare per scontato che continuerà ad
esistere finché esisteranno problemi, quindi finché non si sarà
realizzato un equilibrio stabile.
Se supponiamo che i problemi materiali degli esseri umani siano
tutti risolvibili, ne deriva che la più grande difficoltà non è quella
di risolvere, bensì quella di percepire.
VOLONTA’
Volontà è una delle tre funzioni, assieme al tempo ed all'intelli-genza,
necessarie per produrre risultati.
Essa è direttamente proporzionale alla consapevolezza della
propria utilità.
Quando si afferma che tutti i problemi materiali sono risolvibili,
avendo la conoscenza ed il tempo per risolverli, si deve
logicamente accettare che conoscenza e tempo non producono di
per se stessi alcun effetto, se non accompagnati dalla volontà, e cioè
dalla dedizione di altro tempo per realizzare gli effetti dell'impiego
della conoscenza, affinché questa si esprima in azioni
incidenti.
Allora, se noi diamo per scontato il concetto secondo il quale da
una parte la volontà espressa è direttamente proporzionale alla
consapevolezza della propria utilità e, dall'altra parte, senza la
volontà l'essere umano non può esprimere alcun effetto, dobbiamo
accettare di voler fare ciò che è utile e produce effetti; e stentiamo,
al contrario, a voler fare ciò che non è utile e non produce effetti.
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